Nel Medio Evo, durante le pause fra le molteplici guerre che si combattevano in quei tempi nella Romagna, la popolazione non seppe mai rimanere inerte, sollecitata com’era dal desiderio delle contese, delle giostre e dei tornei, ai quali la partecipazione del popolo in funzione di attore e spettatore, fu sempre totale e appassionata.
Il fine puramente addestrativo, in preparazione di nuove battaglie, non fu del tutto determinante perché su di esso ebbe sempre il sopravvento la naturale tendenza popolare ad esibirsi, a cimentarsi in leale contesa, per cui l’arte di torneare, unita all’abilità nel cavalcare, raggiunse forme di grande risonanza.
I tornei assunsero tutti gli attributi di grande spettacolo specialmente nel periodo della Signoria Manfrediana, epoca in cui memorabili giostre furono eseguite in onore di alte personalità ed epoca durante la quale venne codificata, negli Statuti faentini del 1410, la regolamentazione del palio.
Hebbe per antichissima consuetudine
questo nobile pubblico di proporre ogni anno
un premio per invitar la gioventù ad esser assai presta
nelli atrezzi cavagliereschi …
Al qual effetto si faceva piantar sulla piazza il saracino
ovvero Aniballo et correre longa un carrera di cavalli
Questa una delle tante richieste che gli inviati della comunità di Faenza presentarono a Monsignor Glorieri, inviato a Forlì dal Cardinal Aldobrandini per ascoltare le richieste dei rappresentanti della comunità di Faenza.
Il consiglio degli anziani richiedeva l’autorizzazione a stanziare la somma di scudi 200 Bolognesi dagli assegnamenti ordinari del comune per finanziare la disputa di due palii: la corsa dei Berberi per il 29 giugno, giorno di San Pietro patrono della città, ed una quintana, che i nobili faentini disputavano per antichissima consuetudine, nel periodo di carnevale.
Per la prima delle richieste non vi furono difficoltà, per la quintana del Niballo, invece, disputandosi in carnevale, festa di chiara derivazione pagana, si ebbe un iter burocratico più lungo.
Il Cardinale Aldobrandini concesse comunque il benestare ed il 12 febbraio 1596 venne esposto il bando; era la nascita ufficiale del Palio del Niballo, che verrà ripreso, dopo anni di oblio, il 29 giugno del 1959 con scopi naturalmente ben diversi da quelli che avevano i rampolli delle nobili casate.
Il Palio del Niballo oggi si corre su una distanza di circa 154 metri, percorsi al gran galoppo. Il torneo inizia con la sfida del Cavaliere rappresentante il Rione ultimo classificato nel Palio precedente ai quattro cavalieri dei Rioni avversari. Identica sfida viene poi lanciata da tutti gli altri contendenti per un totale di 20 incontri. Sono usate lance della lunghezza di metri 2,75 e del peso di chilogrammi 3,250. I Cavalieri in costume rinascimentale, scendono in campo chiamati dal magistrato, due alla volta, e si sistemano entro gli appositi stalli di partenza ai lati opposti di un tracciato a ferro di cavallo. L’incontro, a sprone battuto, avviene a metà strada ove è posto il “Niballo”, con due bersagli dal diametro di 8 centimetri. Il primo che, con la lancia, colpirà il bersaglio, senza aver commesso irregolarità durante l’avvicinamento, vince lo scontro e provoca l’alzata del braccio colpito e l’esclusione del braccio opposto mettendo così fuori gara l’altro cavaliere. Ogni “centro” da diritto ad uno scudo coi colori del Rione battuto, che viene issato sulla tribuna del proprio Rione. Al termine delle venti tornate di sfida, il Rione che avrà conquistato il maggior numero di scudi vincerà il Palio, cioè il vessillo in stoffa, unico premio di tutta la sfida per il Rione vincente. Al Rione giunto secondo viene assegnato come premio una porchetta; al terzo il gallo e l’aglio.